L'estate 2021 secondo l'Osservatorio di Trademark Italia
17/09/2021

L’estate sta finendo e un anno se ne va … e gli addetti ai lavori dell’industria dell’ospitalità cominciano ad esprimere le proprie valutazioni. La maggior parte ne parla volentieri: per 8 operatori su 10 infatti la stagione estiva 2021 è andata meglio dell’anno scorso, per presenze e per ricavi. Ma due su dieci, il 20% circa, dichiarano che la stagione 2021 ha fatto registrare una performance non solo inferiore all’estate 2019 ma addirittura a quella del 2020.
E’ una premessa, ma appare già una sentenza: non avremo mai una verità univoca sull’andamento del movimento turistico per 4 ragioni che dipendono da luogo-destinazione e posizione geografica, dalla location, dalla tipologia di struttura e dalla modalità gestionale. Eccole:
•    la prima: le estati balneari sono influenzate dal clima, dalla durata, dalle condizioni del mare, dalle notizie vere o inventate dai quotidiani. Nessuno nell’estate 2021 ha denunciato eventi e situazioni peggiori del '19 e del '20;
•    la seconda: la durata media delle stagioni balneari, su un arco temporale di 5 anni, si è purtroppo consolidata su 60 giorni altamente profittevoli con ali stagionali (15-30 giugno e 1-12 settembre) generalmente improduttive. Mediamente l’attività stagionale è di 86 giornate, ma numerosi operatori, specialmente quelli che abitano in hotel tutto l’anno, restano semi-aperti per 120-150 giorni limitando i servizi, ad esempio la ristorazione. E’ logico che i bilanci, in questi casi, vengano appesantiti dai costi del periodo di apertura improduttivo. Per tutto il settore balneare, isole comprese, il periodo economicamente più proficuo (massimo carico al massimo prezzo) è quello del bimestre luglio-agosto. Due mesi formidabili (su 12) che bastano a garantire un risultato positivo per la colossale industria turistica stagionale. Un miracolo che si ripete!
•    la terza: i costi delle gestioni stagionali sono in qualche caso addirittura diminuiti. Perché? Perché la voce più pesante di ogni bilancio economico dell’area servizi turistici è il costo del lavoro. Nel biennio 20-21 il costo del lavoro è stato uguale o inferiore agli standard del 2019. Le cause: la conclamata mancanza di manodopera qualificata, la contrazione della durata delle assunzioni, la stabilità dei contratti salariali e un maggiore impegno operativo personale degli albergatori e delle loro famiglie;
•    la quarta e ultima: il rapporto costi e ricavi. I prezzi nei 60 giorni di alta stagione sono cresciuti mediamente del 12-15%. La stima di aumento vale per gli hotel stagionali delle coste nazionali, adriatiche e tirreniche e delle isole maggiori. Gli incrementi dei prezzi per acquisti di prodotti necessari all’alloggio e alla ristorazione sono stati mediamente contenuti, così i costi di manutenzione e lavanderia. Quelli energetici sono aumentati, le temperature stagionali hanno richiesto più consumo di energia, ma i maggiori costi risultano di molto inferiori all’aumento dei prezzi registrati nel periodo cruciale della stagione balneare. Le imposte locali non hanno subito variazioni significative.
In sintesi: una stagione balneare irripetibile per moltissimi operatori, la migliore dal 2016, con tassi d’occupazione vicini o superiori al 90%. Milioni di italiani soddisfatti di essere riusciti a trovare una buona sistemazione in un periodo “drammatico”. Temperature record, con il mare che non ha fatto scherzi nemmeno dove i fiumi scaricano a due passi dagli stabilimenti balneari. Una congiuntura così positiva è difficilmente ripetibile.



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