Stanno circolando da alcuni giorni sui principali media i risultati di una ricerca internazionale congiunta della New York University e dell’Università francese di Grenoble Alpes. Da questo studio emerge che la disinformazione su Facebook riceve sei volte più “mi piace”, condivisioni e interazioni rispetto alle notizie verificate. Una “tragedia” per chi si occupa di comunicazione aziendale. A parte che parlare di “gente comune” non è una pratica professionale per chi si occupa di marketing, ma è comunque una bella cannonata per chi lavora duro nel mondo delle campagne di marketing emozionale. Insomma se le fake news danno risultati di ascolto che trascendono il prodotto (la ricerca spiega il perché), che dire delle persone che belle, brutte, gradevoli o sgradevoli indossano magliette con slogan, marchi, loghi e simboli di un prodotto correlato alla vacanza che sconfinerebbero in aree del cervello impenetrabili per la buona e onesta comunicazione?
I brand alberghieri ad esempio utilizzano immagini reali per diffondere tra i potenziali ospiti (e la gente comune) quanto di bello una struttura ricettiva, un resort, un ristorante è in grado di offrire. E a questi “interlocutori” chiedono l’approvazione al fine di farle diventare virali e generare emozioni destinate a creare il desiderio per quella struttura, per l’atmosfera della camera, della piscina e del ristorante. Scoprendo oggi che la gente comune non verifica quello che guarda o ascolta e che le notizie inventate convincono di più di quelle che viaggiano attraverso canali di marketing affidabili, che cosa possiamo fare per non sprecare la nostra comunicazione di prodotto. Non piace a nessuno restare tramortiti per la notizia secondo cui le fake news funzionano 6 volte meglio delle news reali. |